Quando si apre la porta del carcere, molte altre porte si chiudono. C.A.S.A. San Simone intende restare una porta aperta anche per le persone che vivono l'esperienza della detenzione: talvolta mettendo a disposizione un luogo dove svolgere le misure alternative, ma ancor più spesso offrendo uno spazio di ascolto e di riferimento al momento dell'uscita, quando anche la mancanza di una residenza può rappresentare un ostacolo insormontabile.
Da sempre luogo chiuso, non soggetto a trasformazione e carico di stigmatizzazione per le persone che lo abitano, non altrettanto efficace nell’intento riabilitativo ed educativo, il carcere resta un elemento presente nelle città e nell’immaginario delle persone. Ambienti spesso troppo stretti, dove la qualità e la dignità del quotidiano rischiano di venire meno. Negli ultimi anni, grazie al servizio di diverse realtà del territorio e gruppi di volontari, si sono realizzate esperienze positive di ingresso all'interno del carcere e di incontro con i detenuti, tra cui l’avvio di un laboratorio di panificazione. Tuttavia il reinserimento sociale e positivo delle persone, che escono da questa esperienza, resta ancora un nodo aperto.
Piazza Broletto
Quanti dei mantovani che passano di qui sanno che questa era piazza delle Carceri e che gli ultimi ospiti delle prigioni comunali se ne vanno agli inizi del 1900?
Mantova è una città che cambia, ma il carcere rimane in centro, in via Carlo Poma nr 3.
Passiamo sotto il voltone dell’Arengario con gli anelli che ricordano la tortura dei tratti di corda e giriamo a destra per via Giustiziati verso via Dottrina Cristiana.
Approfondimenti
Siamo donne e uomini che desiderano praticare la solidarietà. La solidarietà per noi volontari non è solo dare materialmente ma è soprattutto saper ascoltare e cogliere senza esprimere giudizi, senza conoscere storie passate o motivi di condanna, per poter accompagnare chi liberamente si rivolge a noi, per essere aiutato a dirigersi nel percorso complesso di consapevolezza, accogliendo le sue necessità e condividendo il cammino verso il ritorno alla libertà nella serenità.
Nel nostro statuto è scritto ““promuovere e tutelare i diritti e la dignità della persona dei carcerati e supportare il loro reinserimento all’interno del tessuto sociale”. La nostra azione è finalizzata alla “Promozione dei diritti umani, sociali, civili, politici”, in attuazione dell’art. 27 della Costituzione “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
La nostra Associazione è nata circa 30 anni fa da un’idea dell’allora cappellano don Gianfranco Ferrari, assieme ad un primo gruppo di collaboratori. Tra questi anche Isabella dell’Aringa Somenzi che si prodigò, con il referente scolastico statale Carlo Alberto Aitini, per portare la scuola dell’obbligo in carcere. Da allora si sono promosse molte attività coordinate anche dal cappellano per 9 anni don Lino Azzoni e, dopo di lui, dalla Presidente Elena Prandi. Oggi come sempre ogni attività all’interno della struttura è concordata con il personale educativo e direzionale del carcere.
Con la creazione dell’Associazione si iniziava a rendere visibile anche all’esterno chi era in uno stato di sofferenza, di isolamento, di carenze di relazioni umane.
Una delle attività fondanti sono stati i colloqui interpersonali che sono alla base della conoscenza e della relazione per creare fiducia tra i detenuti e noi, purtroppo oggi, a causa del covid ancora sospesi.
Tra le attività che i volontari hanno svolto, su richiesta dalle educatrici, è stato quello dell’accompagnamento nei permessi premio dei detenuti, generalmente utilizzati per assolvere impegni burocratici e per permettere la conoscenza della città che li ospita. Sono momenti importanti perché inseriscono persone tra le persone oltre che favorire relazione e fiducia tra detenuti e volontari, ponendo questi ultimi come riferimento per altri contatti e attività che l’associazione promuove. Sono soprattutto il giornale “Controsenso”, redatto dentro il carcere a cura di un gruppo di “ristretti” come loro amano definirsi, che ogni due mesi circa, la “Cittadella” prima e Gazzetta di Mantova poi, hanno pubblicato come inserto per circa 20 anni. E’ stato uno strumento molto importante perché ha permesso di rendere visibile e di far uscire dalle sbarre almeno i pensieri e le parole di chi è in uno stato di privata libertà, sperando di aver creato consapevolezza nella città.
Negli ultimi anni si è potuta promuovere l’ attività di teatro che ha coinvolto sia la sezione maschile che femminile, dimostrando che unire è possibile, creando anche dinamiche di rispetto reciproco, permettendo inoltre una rappresentazione fruita da tutta la popolazione carceraria.
Nella città sono stati promossi alcuni importanti convegni finalizzati al coinvolgimento di scuole, cittadini e molte persone interessate alle problematiche sociali del carcere .
Le attività del CSC ora sono state sospese. Gli stessi detenuti, in una lettera inviata e pubblicata dalla Gazzetta di Mantova scrivono: “ Vengono a mancare le cose più importanti che ci legano all’esterno dell’Istituto, come i volontari che ogni giorno ci aiutavano a trascorrere meglio le lunghissime ore qui dentro, oltre ai loro corsi potevamo avere i colloqui personali che per noi erano anche un modo per sfogare le nostre emozioni e pensieri” inoltre, “i volontari erano per noi l’unico modo per evadere dalla quotidianità”.
Marzia, Gino, Nicola, insieme a tutti i volontari e le volontarie del Centro Solidarietà Carcere